Quando pensiamo alla giornata internazionale della donna vengono in mente subito le mimose e le quote rosa. Ma anche il gender pay gap e le statistiche sulle donne in ruoli manageriali. Ma poi? Mi sono sempre chiesta come trasformare la festa odierna in un processo sostenibile nel tempo che porti davvero alle pari opportunità a tutte le persone.

Ho fatto questa domanda a Laura Pino, Key Account Manager di JHunters, brand specializzato nella Generazione Z di Hunters Group, società di ricerca e selezione di personale qualificato, che ha seguito l’iter della Certificazione UNI/PdR 125:2022, la cosiddetta “certificazione pari opportunità” che l’azienda ha ottenuto recentemente.

Da dove partiamo? Innanzitutto dal fatto che la mera applicazione delle varie normative da parte delle aziende, rimane lettera morta, se non c’è una cultura di valorizzazione della diversità all’interno delle imprese stesse. Ed è proprio in quest’ottica che va vista la Certificazione UNI/PdR 125:2022, perché interpreta la parità di genere non in termini di “quote rosa”, ma valuta a 360° tutti gli elementi aziendali. Se giustamente applicata, permette di assumere risorse mettendo al centro il valore della competenza e della diversità del singolo – ed è questo che vorrei per la nostra società.

Abbiamo parlato:

  • dei processi misurabili e KPI da tener monitorati per colmare i gap attualmente esistenti;
  • del valore che ha per ogni singolo dipendente la certificazione inteso come attenzione alle pari opportunità;
  • delle strategie HR che devono puntare a valorizzare la persona, indipendentemente dal genere, per esempio prevedere maternity e paternity welfare
  • e degli effetti positivi l’attenzione a queste tematiche porta in termini di attrattività e produttività dell’azienda;
  • di quale caratteristiche debba avere un processo di ricerca e selezione del personale “alla pari”.

 

Approfondendo l’ultimo punto, Laura non ha dubbi: ognuno di noi è condizionato da una serie di bias e pregiudizi che è veramente complicato (se non impossibile) eliminare valutiamo una persona. Partendo quindi da una fase di recruiting inizialmente “anonima”, il blind recruiting, va sviluppato un vero e proprio processo di ricerca e selezione che punti alla consapevolezza e all’empowerment della diversità in azienda, rendendo quest’ultima sostenibile e – perché no – redditizia. 

Ultima domanda: come ci si sente – come donna – a lavorare in un’azienda che ha fatto dell’attenzione verso la tematica della parità, uno dei valori fondamentali? Fa davvero la differenza?

Buona visione e buon ascolto,

Valerie Schena Ehrenberger 

 

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